domenica 21 luglio 2013

Angers – Burnt offerings[1]

Angers entrò nella stanza d'albergo che gli era stata segnalata. Sulla sua strada trovò Marsiglia, come al solito abbastanza goffo nella uniforme nera dei trooper – come venivano chiamati gli uomini appartenti alle fiend squad.
Questi rivolse un amabile sorriso al commilitone, un lampo di denti bianchissimi nella semioscurità della stanza – in parte per simpatia, in parte per farsi perdonare di non essere nel vano più interno, in aperta violazione degli ordini ricevuti, e delle più elementari norme di prudenza. Angers decise di soprassedere. Tanto, fosse anche, qualche casino un più non faceva nessuna differenza. Proprio nessuna.
Anzi, anche lui si fermò un attimo nel corridoio, sotto lo sguardo attento dell'altro, il tempo di accendersi una sigaretta, la fiamma dello Zippo che rischiarava l'ambiente per un attimo soltanto, un leggero tremolio nella mano che reggeva la cicca. Angers fece per proseguire, poi si fermò ancora. Si decise a chiedere:
"È lei?"
Marsiglia smise subito di sorridere.
"Ma no, che ti salta in mente? Te lo avremmo detto, cazzo, no? Se ci fosse stato il sospetto..."
Angers strinse gli occhi, poi annuì, bruscamente. Avrebbe voluto dire a Marsiglia che dei sospetti a lui non fregava proprio un cazzo di niente, ma del resto nessuno poteva essere mai del tutto certo... il fatto è che loro cambiavano, a volte, dopo.
A volte sì e a volte no. Una conoscenza superficiale non sarebbe bastata, men che meno una squallida foto segnaletica.
Fece un tiro profondo, cercando di controllare la tensione. Cazzo, e dire che tutti erano convinti che fosse un animale a sangue freddo. Si vede che era un bravo attore. Ma del resto, se voleva mettere fine a quell'agonia, bastava fare pochi passi.
Pochi passi e poi l'inferno.
E invece no.
Si trovò di fronte a un tavolo pieno di sporcizia, cibo avanzato, lattine vuote, posaceneri pieni. Una sedia, quella più vicina alla porta, vuota. L'altra, occupata da una ragazza sui vent'anni, capelli biondo platino, pelle bianco latte, occhi pesantemente truccati, e labbra nere. Le mani legate dietro alla schiena, da manette P–3510, dotazione trooper. Un'altra P–3510 alle caviglie. C'erano tracce di bruciature, ustioni profonde sul viso e sulle altre parti scoperte della ragazza, ma nondimeno Angers potè finalmente tirare un sospiro di sollievo.
Non era lei. Nemmeno tenendo conto di un ampio range di mutazione, le differenza di statura, tratti somatici, e quant'altro erano troppo marcati.
Poi si chiese perchè tutto quel sollievo.
Certo, quella ragazza non era la donna che aveva temuto potesse essere, ma comunque avrebbe dovuto passare otto ore in quella stanza in sua compagnia.
Si sedette davanti a lei, un po' pesantemente, e subito lei lo mise a fuoco, osservandolo con gelidi occhi azzurri. Poi di punto in bianco si allungò in modo che non si sarebbe detto possibile, i lineamenti alterati, le sopracciglia rigonfie, il naso a pieghe e le zanne lunghe parecchi centimetri completamente esposte, giungendo a coprire più della metà del tavolo prima che le catene e manette la riportassero indietro.
Angers non si scompose. Forse dentro di lui l'adrenalina, nel vedere quel mostro che in pochi istanti era sbocciato da quella che sembrava una ragazza in stile gothic, scorreva a fiume, ma riuscì a imprimere al suo sguardo persino un po' di ironia.
"Bel tentativo, bellezza. Ma niente che io e il mio socio non avessimo già visto."
Lei, mantenendo il volto in quelle sembianze bestiali, spaventose, fece uscire una lingua lunghissima, rosea e appuntita, e se la passò sulle labbra ritorte e sulle zanne. Angers cominciò ad avvertire il sottile tanfo che emanava. Carne cruda in lenta decomposizione. Lei lo capì – intuito? La loro fottuta telepatia? – e sorrise, un sorriso simile all'aprirsi di un fiore atroce, poi gli parlò, una voce impossibile, una voce umana filtrata attraverso tessuti animali. Rimbombò nella stanza d'albergo. Faceva male a sentirla, un dolore dentro.
"Addirittura due trooper in una sola notte. Mmm, devo proprio essere una vamp pericolosa. Avanti, iniziate a chiedermi cosa volete da me. Sono proprio curiosa."
Angers sentì i nervi tendersi sotto la pelle. Non era mai una buona idea stare troppo vicino a un vampiro. Mai. Ma quella fottuta notte...
"Cosa ti fa credere che vogliamo qualcosa da te... com'è che ti chiami poi?"
"Frances."
"Quello che è."
Lei sorrise, velenosa, aveva ripreso il suo aspetto umano, ma fu solo un attimo, il suo vero volto riapparve subito dopo. Bravo Angers. Intanto le aveva fatto capire che gli interessava sapere il suo nome.
"Avanti, eroe, non mi farai credere che volete tenermi qui senza motivo. Se volevate terminarmi potevate farlo da molto tempo."
"Non dirglielo, Angers!"
"Stai tranquillo. Tanto è qui, no? Potremmo anche dirglielo: magari questa fottuta veglia sarà meno noiosa."
Marsiglia scosse il capo, ma raccolse la sua roba e se andò, contento che il suo turno fosse finito. Lui e Lione avevano catturato la vampira e l'avevano portata lì, ma quella era stata la parte facile: trovarsi da solo con quell'essere, che lo guardava fisso con quei occhi da squalo... ma adesso toccava a Angers. E lui era uno da servizio attivo, non un addetto alle comunicazioni.
"Ma bene." Frances fece riapparire quel suo ghigno. "Siamo rimasti soli. Comincio io a spogliarmi o lo facciamo insieme?"
"Piantala."
"Giusto. Prima il dovere poi il piacere. Allora, cos'è questa merda?"
"Questa merda è la tua pena capitale."
"Io sono immortale."
"Non con un cacciatore di vampiri come Slade sulle tue tracce."
"Siete voi i cacciatori di vampiri. Slade è solo un pazzo fanatico."
"Pensavo fossimo noi i pazzi fanatici."
Frances ebbe uno scatto simile a quello di prima, poi urlò:
"No, voi siete solo dei bastardi assassini che si divertono ad ammazzarci! Maledetti! Maledetti! Almeno Slade è comprensibile nelle sue motivazioni!"
Angers sentì qualcosa cedere dentro di lui, di fronte a quell'odio, si costrinse a rimanere impassibile.
"La stessa cosa si può dire di voi, no? Dei bastardi assassini che si divertono ad ammazzarci."
Frances rimase immobile. Sembrava quasi sorpresa. Poi scoppiò a ridere di gusto, il suono di un vetro che si sbriciola lentamente.
"Ma certo! E allora posso sempre odiare Slade più di voi, no? Ditemi cosa devo fare!"
"Ma niente. Diciamo che tu sei una specie di esca. Uno così bravo non possiamo mica lasciarcelo scappare, no?"

Era cominciato tutto tempo prima.
In fondo, prima o poi doveva anche succedere.
Era inevitabile.
Fottutamente inevitabile.
Nella metropoli perduta, cloaca massima dell'asse del mondo, terra di nessuno contesa tra i trooper e i vampiri, era apparsa la mutazione terminale.
Un dampyr.
Il cacciatore di vampiri definitivo. Un essere invulnerabile alla luce che se ne andava in giro animato da un odio fanatico verso quelli della sua stessa specie.
Ogni notte una nuova caccia.
E ogni mattina vedeva nuove burnt offerings al Sole consistenti nei resti carbonizzati dei vampiri che lo avevano incontrato. Impalati con punte in frassino montate su frecce per balestra a guida telemetrica, bruciati dalle pallottole d'argento, ustionati dal laser. Una vertigine di distruzione sempre più tecnologicamente avanzata, sempre più progredita.
Forse troppo progredita, troppo tecnologicamente avanzata. Roba che i fucili automatici dei trooper sembravano roba della prima guerra globale.
E il popolino, coloro che conducevano la loro miseribile esistenza negli sterminati slums dell'ultima metropoli, coloro che ogni notte pagavano il loro ineluttabile tributo di sangue ai signori del buio, cominciavano a idolatrare questo dampyr.
Impossibile per i trooper restare fuori dal gioco. Difficile stare semplicemente a guardare. Del resto sarebbe stato molto utile per il potere che loro rappresentavano  piegarlo ai propri scopi. Pericoloso invece, lasciarlo là fuori, ad agire come una sheggia impazzita.
Troppo pericoloso.

"No, uno così non riuscirete mai a prenderlo."
"Tu invece ci sei quasi riuscita."
La vampira annuì. E basta.
"Potresti sempre raccontarmi come è andata."
"Non serve. Voi e il vostro servizio di informazioni sapete già tutto."
Stavolta toccò a Angers annuire. Non che non fosse altro che l'ovvio.
"Però potresti sempre raccontarmelo tu."
"E perchè?"
"Dai, liberami le mani e lasciami fumare una sigaretta mentre la tua giovane voce mi racconta le mie gesta. Pensa, da trooper a biografo di una vampira, tutto in una sola notte."
Violazione n. 145 per Angers, ma in qualche modo la vampira aveva messo giù le cose in un modo piuttosto charming. Angers si strinse nelle spalle, si alzò, le liberò le mani, senza prendersi la briga di fare un passo indietro. Frances lo guardò.
"Un coraggioso."
"Il coraggio ha tante facce. E anche tante fonti." Le disse lui in un sibilo, avvicinando verso di lei il pacchetto di Marlboro e lo Zippo. Frances si accese la sigaretta con un movimento così veloce che l'occhio umano non sarebbe mai stato in grado di seguirlo.
"Bel giochetto. Adoro quando fate così."
"Preferisco quando riesco a uccidere avvicinandomi lentamente a una preda che non riesce a scappare. Mi diverte vedere il terrore negli occhi di voi umani mentre vi rendete conto di stare per essere uccisi."
"Non è poi molto diverso dal vostro sguardo di terrore quando sorge il Sole e voi siete allo scoperto..."
Lei fece un gesto vago con la mano, un pezzo di carne gelida e bianca che ondeggiava nella tenebra.
"Allora, questo racconto."
Angers si accese una sigaretta con il mozzicone della precedente.
"Frances e basta, nata chissà quando, vampirizzata chissà dove e chissà da chi. Che te ne pare delle nostre fonti di informazioni?"
Non attese la sua risposta, ma proseguì.
"Un anno fa appare Slade sulla scena della città dei mostri. Massacra un po' qua e un po' là, riesce a fottere un paio di grandi master, vampiri con le palle.
Poi a un certo punto fa incazzare la grande Frances. Te ne ha fatto fuori troppi dei tuoi? Oppure uno solo ma quello giusto?"
Frances ringhiò, una belva ferita che viene disturbata, gli occhi dei lampi al laser. Angers semplicemente ignorò.
"Comincia una guerra tra la nostra Frances e il grande Slade. Noi trooper che andiamo in giro a raccogliere i pezzi di quelli che finiscono sotto il fuoco – o sotto le zanne. Uomini, vampiri, ghoul. A decine, a centinaia. Ma niente dampyr. Niente Slade sotto il fuoco o sotto le zanne di Frances. Ma sei riuscita a fottere qualcuno di molto vicino a lui, non è vero? E magari non è che hai sbagliato bersaglio. Lo hai fatto apposta. Fate sempre così."
Fu Angers a finire la frase in un sibilo distorto.
"Tutta questa rabbia, questo odio. Scorre nelle tue vene insieme al tuo sangue. Sarebbe così dolce senza... lo posso annusare da qui." Annusò l'aria, le narici dilatate nel volto bestiale, con ostentazione.
"Non difficile per noi umani odiare i vampiri, no?"
"No. Di solito ci odiate ma ne siete anche attratti. Dolce e amaro, paura e dannazione, volete scappare ma volete anche diventare come noi."
"Fanculo. Dei succhiasangue..."
"Certo, ma dei succhiasangue immortali. Lo sai quanti anni ho, io, ad esempio?"
Angers sapeva, glielo avevano insegnato, che è meglio non sapere l'età di un vampiro. La cognizione del tempo per un essere umano è concreta solo in un range molto limitato. Oltre un certo numero di anni diventa un concetto astratto, utile solo se messo in relazione con altri numeri. Ma sapere tutto d'un colpo che qualcuno davanti ha visto eventi storici, che viene da un punto imprecisato ma improvvisamente concreto della notte dei tempi è un'esperienza estraniante, potenzialmente molto pericolosa. Angers, forse, si disse che il pericolo era attenuato dal fatto che come Frances era un'esca per il dampyr, anche quest'ultima forse sperava che Slade si presentasse. Forse lui era solo una comparsa tra i due primi attori.
Ma forse era già sotto l'influsso della personalità magnetica della master.
"No." Disse, con la voce un po' malferma.
"Sono nata all'incirca verso la metà del diciottesimo secolo. Sempre se questa cosa ha un senso per te."
Erano secoli: un varco temporale di immani proporzioni si era aperto nella cognizione del tempo di Angers. Vertigine... e Frances si accorse della sua debolezza e proseguì, da un'altra angolazione stavolta.
"Ed è questo il punto. Tu non subisci questo fascino dell'immortalità. Per questo il tuo odio è così puro, non è contaminato da quell'attrazione che fa sì che voi esseri umani siate attirati dalla nostra luce oscura come falene verso la luce dei lampioni. E quindi io ti chiedo: che cosa ti è successo? Sei già stufo di vivere?"
"Vivere è un concetto fortemente sopravvalutato."
"Ah, beh, ma allora non c'è che una soluzione. Il miglior painkiller che ci sia..."
La voce della vampira era un sibilo, ma stranamente nelle orecchie di Angers non era più odioso, non era più velenoso, ma era stranamente convincente. Angers si alzò dirigendosi verso di lei. All'improvviso le sue fattezze, lineamenti bestiali congelati in un espressione unica di odio beffardo, cute, muscoli e tessuti connettivi cristallizzati in un ringhio silenzioso, non erano poi così detestabili. Persino il suo odore, carne macellata, sangue marcio, pelle gelida e viscida, sembrava solo il frutto di un'impressione, qualcosa dettato dalla psiche.
Forse Angers sarebbe caduto allora, ma proprio in quel momento la luce della stanza, già fioca, si spense del tutto, un'ombra misteriosa, fuori, passò davanti alla finestra oscurando la Luna, e Frances si mise a gridare:
"È lui! Liberami, bastardo! Non ho speranze altrimenti!"

Un dampyr dunque è ciò che nasce dall'accoppiamento tra un vampiro – il simbolo delle sessualità deviata, deviata a livello cosmico – e una donna umana. Prima o poi, con i vampiri che si stavano diffondendo in tutto il mondo, o per lo meno in quello che ne rimaneva, doveva succedere.
Solo che avere un dampyr in giro è una faccenda grossa.
Forse troppo grossa.
Solo che i trooper non erano mai riusciti a entrare in contatto con lui. Con i loro capi che continuavano a bramare di avere un dampyr nella struttura del potere, l'unica idea che poteva funzionare era regalargli su un piatto d'argento la sua avversaria del momento.
Frances.

Angers a quel punto si sentì quasi risvegliato da un incubo. Raggiunse il quadro elettrico, ripristinando l'erogazione della corrente, poi si girò per puntare la pistola contro la vampira, che ne frattempo si era lasciata cadere a terra nella speranza di liberarsi. Le tirò un calcio con l'anfibio:
"Zitta, troia. Ho detto che tu sei la mia esca per attirare qui Slade e se devi restarci secca questo è l'ultimo dei miei problemi."
Frances si slanciò ancora verso di lui, a un millimetro dalla sua gambe, le labbra ritorte a scoprire le gengive nere, bava giallastra sulle zanne, riempiendo la stanza dei suoi ruggiti, ma ancora una volta fu costretta indietro dalle P–3510. Un fottuto affare che funziona.
Poi riprese il suo aspetto umano, costringendosi a calmarsi. Angers ne fu quasi colpito.
"Avanti, soldato, aiutami almeno a rimettermi verticale. Se proprio devo affrontare il dampyr da legata almeno che possa farlo con piena dignità."
Angers non disse di no. Andò prima a controllare fuori dalla finestra – era stato Marsiglia a lasciare la maniglia leggermente piegata verso destra? – poi tornò per fare quello che Frances gli aveva chiesto, stavolto pronto però a rintuzzare un possibile attacco.
Non ce ne furono. Evidentemente Frances era convinta di poterlo ipnotizzare ancora.
Cazzo, del resto c'era quasi riuscita una volta!
Lei si accese un'altra sigaretta, sempre con quella velocità disumana.
"Sei nervosa."
"Come hai detto tu, vivere è un concetto fortemente sopravvalutato."
"Ma non mi dire. Detto da una vampira, è veramente una frase altamente significativa. Voi che siete immortali, che stravolgete le regole della natura... si vede che crepare vi faceva proprio una paura fottuta."
"Se disprezzi tanto vivere non hai che da dirlo, giovane. C'è qua qualcuno che è più che pronto a strapparti la tua miserabile esistenza."
"Vedo che hai cambiato tattica."
Frances ignorò. Ricominciò a parlare, anche se con un tono di voce più raschiante, più teso. Però mantenendo una certa freddezza, una certa precisione.
"Comunque sei ingiusto. Per forza che io sono attaccata alla vita. Soltanto ieri io mi stavo godendo i tributi di sangue dei miei vassalli. Soltanto ieri mi stavo commuovendo, come tutte le notti da centinaia di anni, di fronte alla maestà della notte. E tu? Fammi indovinare: le solite miserie della vita umana, la paura di vivere e la paura di morire, alzarsi agli ordini dei tuoi capi, immergersi in un mondo tetro, solo come un cane, se non per la compagnia di altri trooper, degli stupidi selvaggi, in fondo... non è così?"
"Magari sono anch'io uno stupido selvaggio."
Frances lo guardò dritto negli occhi – uno sguardo come una lama d'acciaio mantenuto per secoli in un ghiacciaio spaziale. Angers sentì un brivido eterno risalirgli lungo la spina dorsale, una vertebra ogni era – poi scosse la testa. Strano, un gesto così prosaico. Così umano. Fuori luogo, fatto da lei.
"No, quel dolore che vedo dentro di te, che detta ogni tua azione, ogni tua parola... c'è qualcosa di sofisticato, di troppo evoluto forse, che lo tiene in vita. Una sensibilità troppo sviluppata, direi. Oh, povero Angers..." Angers fece uno scatto involontario a sentire il suo nome, e soltanto allora si accorse che aveva annuito, col capo, a ogni singola parola di lei.
"...che sofferenza deve essere per te questa vita... ma che cos'è che ti costringe a torturarti così, un giorno dopo l'altro, una notte dopo l'altra? Io proprio non ti capisco..."
"Tu non puoi togliermi questa sofferenza."
"Oh, sì, potrei. Devi solo lasciarti andare. Chiudere gli occhi e lasciarti andare..."
La voce di lei era diventata carezzevole. La voce di un'amante. La mano di Angers scattò sul pulsante del comando della P–3510, rilasciando la vampira.
Libera di scappare.
Libera di ucciderlo.
Lei si erse in tutta la sua statura. Fece scattare la sua mano verso il pacchetto di sigarette, con la consueta velocità.
Ma qualcuno riuscì ad afferrarlo il polso, scaraventandola poi sul pavimento e inchiodandocela con uno stivale borchiato.
"L'ho sempre detto che voi trooper siete solo dei dilettanti."
Angers si sedette più comodamente sulla sedia, osservando con un certo distacco il nuovo venuto. Non era molto colpito, per essere il suo primo dampyr.
"Era da un bel po' che stavo aspettando che lei riuscisse a farlo..."
"A fare cosa?"
"A fotterti. Ma non vi insegnano a resistere ai poteri psichici di un vampiro, prima di spedirvi in giro in uniformi di fantasia a massacrare senza un minimo di strategia?"
"Whatever. Intanto, finalmente, sono riuscito a vedere questo leggendario dampyr. Hai dovuto sgambettare parecchio in quest'ultimo periodo, a quanto pare. Ad ogni modo i miei ordini sono di portarti alla centrale dei trooper. I miei capi hanno urgente bisogno di parlarti. Argomento? Sempre il solito: vampiri e affini."
"Niente da fare. Io lavoro da solo. Però devo ringraziarvi per avermi consegnato questa puttana."
Sollevò una balestra realizzata in acciaio e titanio, freccia in frassino con corpo in acciaio giapponese, guida telemetrica al laser, del tutto superflua visto che il bersaglio si trovava a meno di un metro. Frances si contorse tutta, ma per la prima volta, forse, nella sua intera non vita era paralizzata dal terrore.
"Ah, Slade, c'è ancora una cosa," disse Angers, casualmente.
"Dimmi."
"Non ci piacciono quelli che vanno in giro armati fino ai denti ad ammazzare i vampiri, se non stanno ufficialmente dalla nostra parte. Secondo certi altri dei nostri capi rovina la visione che il popolo ha dei trooper. Finisce che perdono il rispetto, se dobbiamo vedercela con uno come te troppo spesso."
Slade fece una faccia sdegnata.
"E allora? Io faccio quello per cui sono nato: cacciare vampiri!"
Angers si alzò in piedi, rovesciando la sedia, puntando verso il dampyr una Colt 45, proiettili esplosivi. Dotazione trooper, manco a dirlo.
"No, quella è la nostra specialità. Tu sei solo di intralcio."
Slade cercò di puntare la balestra su Angers, ma questi premette il grilletto prima, molto prima che il dampyr riuscisse ad agganciarlo con quella famosa guida telemetrica. Metà del torace del dampyr esplose, una fontana di sangue alta fino al soffitto.
Angers puntò la pistola verso Frances. Difesa, non attacco.
"Tu puoi andartene, in base ai miei ordini. Vattene, prima che decida di violare il protocollo."
Frances si alzò lentamente, voluttuosamente, strisce purpuree che la ornavano come fossero stati gioielli.
"Suppongo che devo ringraziarti."
"Supponi male. L'unica cosa che devi è sparire."
"Va bene, va bene."
Attraversò a passi cadenzati la stanza, senza badare alla grossa pistola che era ancora puntata verso di lei.
"Certo che è imperscrutabile, questa ragione di stato... io, una master, che può andarsene libera e sicura, e lui, un dampyr, sparato in pieno petto... chissà come mai."
"Imperscrutabile, l'hai detto."
"Potrei sempre raccontarlo in giro."
"Assieme a mille altre versioni discordanti."
"Già, immagino di sì." 
Se ne andò, ma non resistette a lanciare l'ultima provocazione:
"E per quel tuo dolore... ricorda, a tutto c'è rimedio. E io ne avrei uno pronto per te..." Scoprì le zanne, in una risata sarcastica: artigli che graffiano il metallo.  
Angers la guardò, distante, immoto.
"Ci sono mille modi. Non voglio essere ucciso proprio da una di voi."
Lei si strinse nelle spalle.
"O magari non da me. Forse c'è qualcuno, qualcuna di noi, che vorresti ti uccidesse.
Beh, ma questi allora non sono più affari miei. Buonanotte, tesoro."
Angers strinse più forte la Colt, a quello che suonava come un insulto.
Si costrinse tuttavia ad abbassarla, mentre lei spariva nelle tenebre del pianerottolo.


[1] Questo breve racconto rappresenta molte cose. Innanzitutto si tratta di una sorta di introduzione per un ciclo di avventure che avrebbe dovuto avere come protagonista un’agenzia di cacciatori di vampiri e affini, in una società dove i vampiri erano sostanzialmente una minoranza ben poco tollerata ma comunque prevista a livello legislativo. L’agenzia, dalla caratteristica di essere altamente militarizzata, era dal punto di vista organizzativo divisa in squadre di tre uomini, designati da dei nomi in codice, prevalentamente presi da luoghi geografici. C’era poi una catena di comando che ai suoi vertici sfumava con il Governo in carica, quindi con un’agenda occulta che poteva essere a favore come a sfavore degli uomini delle fiend squad, le suddette squadre da tre uomini. Quanto ai vampiri, essi vengono visti sostanzialmente come una minoranza religiosa, una setta millenarista che fa della propaganda e del plagio i metodi di reclutamento. E i master, ovviamente, sono i capi della setta, anch’essi comunque con dei legami con le massime autorità.
Il protagonista assoluto comunque è Angers, il più alto in grado di una delle fiend squad, arruolatasi però solo per spirito di vendetta, visto che ha visto sua moglie diventare una vampira per colpa di un master particolarmente carismatico. Per questo, poco gradisce l’attitudine dell’agenzia di comportarsi più come una forza di polizia che non come un’organizzazione militare a tutti gli effetti. Deve vedersela tra l’altro con Lione e Radeon, suoi compagni di squadra arruolati a forza e poco propensi alla vita disciplinata dell’agenzia.
Purtroppo, l’intero progetto però si è scontrato con una serie di difficoltà notevoli, concernenti la difficoltà di tracciare tutto quanto in un quadro coerente. Inoltre, troppi forse erano i rimandi a opere pregresse.
Rimangono comunque alcuni racconti brevi; e qui arrivo al secondo punto. Angers – Burnt offerings rappresenta infatti il mio personale omaggio da una parte a un grandissimo autore della narrativa italiana contemporanea, ovvero Alan D. Altieri, a cui ho rubato stile e linguaggio, e dall’altra a un personaggio tipico quando si parla di vampiri, ovvero Blade, co-protagonista d’eccezione di questo scritto, seppure con il nome leggermente cambiato. Di più, ci sono tutta un’altra serie di suggestioni sul tema.
E, per quanto è mia intenzione aggiungere altre istantanee prese dal mondo di Angers e co., tale scritto, lo ribadisco, va preso per quello che è: un tributo a questi due giganti, senza troppe pretese di originalità.
A meno che una volta o l’altra non scatti l’intuizione giusta, e non prosegua su questo filone in un quadro più articolato…

Non solo 24ore & tacchi a spillo




 Quando aprì gli occhi, la luce del Sole aveva già assunto quella luminosità ambrata tipica del tardo pomeriggio. Ma andava bene così: il fondo il suo lavoro veniva molto meglio se fatto nelle tenebre della notte. In un attimo era in piedi, alzandosi in tutta la sua statura e stirandosi ben bene, sveglia e perfettamente lucida nonostante tutto il vino che aveva bevuto la sera prima, ma del resto ci voleva ben altro per fermarla. Avvertendo un sordo brontolio allo stomaco che se fosse andato avanti un altro po’ avrebbe disturbato i vicini di stanza, chiamò la reception dell’hotel, per farsi mandare un pasto abbondante e un bel po’ di caffè nero. Mentre aspettava la colazione, se così si poteva chiamarla, si dedicò al trucco, scegliendo un make-up leggero ma efficace che ben si adattava al suo viso, un bellissimo ovale che si discostava dall’ideale di bellezza classica solo per la mascella larga e ben sagomata, per poi spazzolare con cura i suoi capelli, biondi e lisci. La colazione arrivò, e la divorò in un batter d’occhio. Eppure, avvertiva dentro di sé una strana ansietà, che non riusciva a definire ma che la preoccupava parecchio, se non altro perché era la prima volta che provava una cosa del genere sul lavoro. Iniziò a vestirsi, anche per concentrarsi su altro e poter ignorare quella sensazione, e fu solo dopo aver indossato il suo nuovo tailleur, la gonna strategicamente accorciata da una sarta professionista, che si accorse che non aveva con sé delle scarpe abbastanza eleganti per l’ambiente di lavoro in cui avrebbe dovuto presentarsi in serata. Non aveva altra scelta che andare a fare un po’ di shopping. Si cambiò rapidamente, ma quando uscì dall’albergo erano già le sei, e nel traffico congestionato della metropoli era già tardi per andare a fare quel genere di commissioni. Alle volte, dovette riconoscerlo, era una vera seccatura essere un po’ svampita, anche se allo stesso tempo sapeva che era proprio grazie a quella sua caratteristica che gli uomini la trovavano così attraente senza per questo essere in soggezione davanti alla sua bellezza travolgente, almeno fino a quando lei non passava loro sopra come un carro armato. E poi in fondo non era niente che la sua potente carta di credito non poteva risolvere. Invece di prendere la metropolitana, per lei un’esperienza sempre molto divertente, chiamò un taxi in modo da farsi portare direttamente in centro, dove andò in un negozio di cui si era già servita in passato, non prima di aver perso un altro po’ di tempo prezioso guardando le vetrine. Lì comprò un paio di scarpe stiletto heel. Poi tornò in hotel con la metropolitana. Mentre aspettava il treno, ci fu il solito gioco di sguardi, e una volta a bordo un tipo le si piazzò strategicamente vicino. Volendo scoraggiare ogni possibile approccio, visto che non era proprio dell’umore giusto, si tolse con un movimento apparentemente casuale la maglia con la zip che indossava, sotto aveva solo un tank top che faceva ben risaltare le sue braccia definite. Questo fu sufficiente per fare in modo che il tipo, ammesso e non concesso che avesse avuto davvero l’intenzione di farsi avanti, si ritirasse per riservare magari la sua attenzione a una preda meno vigorosa. Tuttavia l’intermezzo l’aveva anche divertita…

Una volta in stanza indossò il tailleur nero gessato e scarpe stiletto heel che aggiungevano un bel po’ di centimetri alla sua già ragguardevole statura. Ma solo così si sentiva pronta per il lavoro. Però, quando prese la 24ore dall’armadio, non poté impedirsi di osservarla criticamente: non andava bene per niente. Bisognava provvedere, e questa volta niente metropolitana né per l’andata né per il ritorno, era veramente molto tardi. Ma non poteva presentarsi con una valigetta come quella. Certo che non se non fosse stata così distratta… Scese alla reception, dove fece chiamare il taxi dal ragazzo che le aveva servito la colazione, che le sembrò dicesse qualcosa, mentre pensava che lei fosse fuori dalla portata della sua voce, riguardo il suo stomaco di ferro. Lì per lì pensò di reagire, ma poi dovette considerare che in fondo il ragazzo non aveva poi tutti i torti, anzi. Poteva comunque scordarsi la mancia. Mentre aspettava il taxi si sedette sul divano di pelle dell’hotel per fumarsi una sigaretta e ripassare i documenti che doveva conoscere per la sua serata di lavoro. A un certo punto, però fu colta da una leggera vertigine, accompagnata da un principio di nausea per quanto avrebbe dovuto fare. La sensazione di prima era tornata, molto più forte. Forse, pensò, sarebbe stato davvero il caso di mollare tutto e cercare qualcos’altro, qualcosa di più comodo, di meno snervante… ma non era affatto facile riuscire a uscire dal giro, da quel giro, quanto meno. Respirando profondamente cercò di calmarsi, scacciando il pensiero di quello che sarebbe potuto succedere se magari si fosse bloccata nel momento iniziare il lavoro vero e proprio… Ma intanto era arrivato il suo taxi e questo l’aiutò a calmarsi. Sul taxi però scoraggiò ogni tentativo di far conversazione da parte del guidatore, tutta la sua concentrazione le serviva per controllare quello strano nervosismo che vibrava lungo i suoi nervi. Si calmò appena un poco nel comprare una 24ore che faceva proprio al caso suo. Quando fu di ritorno in hotel fece appena in tempo a prendere il resto del materiale e a filarsela a piedi verso un centro congressi proprio in fondo alla strada, teatro della sua serata di lavoro. E pensare che aveva prenotato in quell’hotel proprio perché voleva essere in anticipo sul resto degli invitati… con tutti quei contrattempi era arrivata esattamente quando le guardie in uniforme, per una volta fuori dalla loro garitta, stavano facendo entrare i primi convenuti.

Una volta dentro, invece che andare nell’ala est, dove era schedulato l’incontro tra uomini d’affari che la interessava, andò nell’edificio prospiciente a questa, dove si infilò in un’aula vuota alla quale aveva già provveduto a lavorare sulla serratura la sera prima, quando aveva compiuto il primo sopralluogo. Con sua sorpresa, l’ansia che l’aveva presa poco prima era completamente scomparsa. Le sue mani non tremavano, né sulla sua fronte c’era la minima traccia di traspirazione quando si chinò sulla 24ore per aprirla, a rivelare il suo contenuto. L’unico suo desiderio era di finire in fretta il lavoro e tornarsene al bar dell’hotel per un whisky e una sigaretta. Dalla struttura in gomma estrasse i pezzi che andavano a comporre un fucile da tiratore scelto WA200. Lo montò in pochi secondi, sarebbe stata in grado di farlo anche a occhi chiusi, poi si mise in posizione di tiro, andando a cercare il suo bersaglio nella sala di fronte, della quale aveva una visione magnifica, proprio come aveva preventivato. Fu allora che i documenti le vennero in aiuto, nel riconoscere il suo bersaglio: fino a quel momento infatti lo aveva visto solo nelle foto che le erano state fornite. Ma erano sufficienti per riconoscerlo nell’uomo al centro del tavolo, il pezzo più grosso di tutti. Aspettò fino a quando non venne dato l’inizio della conferenza, poi, non appena l’uomo a destra del suo bersaglio prese la parola, premette il grilletto, sparando tre colpi in rapida successione. Non attese nemmeno che il suo bersaglio, colpito in pieno, cadesse a terra. Visto che da quel momento in poi, non c’era tempo da perdere: muovendosi fulminea raccolse i bossoli, smontò il fucile e uscì a passo veloce, ma senza correre, mescolandosi alla folla di persone spaventate. Le guardie alla garitta correvano anche loro di qua e di là, fermando e controllando delle persone, apparentemente a caso, in base a una semplice impressione del momento, e come sempre lei riuscì a guadagnare l’uscita senza alcun tipo di controllo.


mercoledì 17 luglio 2013

Violenza, volgarità e anonimato

Un giorno, al liceo, la nostra professoressa di italiano ci ha chiesto di svolgere un test dove vi era una colonna con indicati un certo numero di comportamenti considerati riprovevoli (usare droghe leggere, ascoltare musica estrema, scrivere sui muri, compiere atti di vandalismo, viaggiare sull’autobus senza biglietto, and so on: la quintessenza del teppismo più bieco secondo quegli aficionado del libero pensiero di CL, a ben pensarci, anche se non credo che in quella particolare occasione il colpo fosse partito proprio da loro) e altre colonne in cui bisognava indicare come venivano considerati da noi tali atti. Ma la caratteristica peculiare di questo test era il suo completo – si fa per dire – anonimato. 


Il risultato, per la professoressa, fu deludente; per me, che scrivo quasi vent’anni dopo, interessante: il fatto è che un quarto abbondante della classe – una classe considerata di ragazzi educati e per bene – rispose sostanzialmente che quasi tutti i comportamenti considerati riprovevoli dal potere erano invece ammessi e praticati senza problemi, cosa che non piacque per niente alla prof, come ho anticipato. Che tra l’altro, a causa anche delle risposte date dal rimanente tre quarti, più consone alla visione del mondo della profe, e della scuola, non poté salvarsi in corner.


E come avrebbe potuto salvarsi in corner?



Beh, è semplice – ed emerse con chiarezza in una conversazione piuttosto accesa che ebbi un paio di giorni dopo con una persona che liquidò il test come una mera provocazione, in quanto non tenne conto del risultato globale: la prof avrebbe potuto dire che, proprio grazie all’anonimato, noi “ribelli” – io facevo parte del primo quarto – avevamo mentito spudoratamente.

Non è così, e non lo dico solo perché, avendo funto da cavia in quell’occasione posso affermare che dissi il vero in occasione del test, come invece mentivo spudoratamente nei temi di italiano, ma perché a me sembra ovvio che quando qualcuno si sente protetto dall’anonimato dice la verità, ovvero fa vedere quello che è veramente. Non solo: ma è proprio attraverso l’anonimato che dimostra di essere ben avvertito su quello che si può dire e dimostrare della propria essenza e quello che non si può dire apertamente, pur pensandolo, né tantomeno mostrare, pur essendolo. 

E i troll, direte voi? È vero che i troll provocano, ma provocano mettendo sotto forma di provocazione quello che pensano veramente, e che sanno di non poter esprimere in nessun altro modo, dico io.

Ma qual è il punto? Beh, il fatto è che da più parti si grida allo scandalo per la violenza e la volgarità espressa dal web, come se il Potere non fosse mille volte più violento e volgare, ma lasciamo perdere, in fondo la prerogativa del Potere è proprio questo essere vigliaccamente allo stesso tempo arbitro e giocatore. Lasciamo anche perdere una questione molto più interessante, ovvero il fatto che moltissimi quando si trovano dietro a un monitor credono di poter muoversi in modo anonimo, usando ID con il loro nome e cognome. Ma, ed è questo che volevo dire, credo proprio che quando si arriverà a un giro di vite la scusa sarà proprio: basta con le provocazioni. Ovvero, si negherà recisamente che quanto espresso da web corrisponda alla realtà.

E questo dimostra chiaramente quanto sia stupido il Potere: se davvero queste esternazioni fossero delle mere provocazioni, allora perché vietarle, in fondo? Si sa già - sono delle provocazioni - che rimangono circoscritte alle rete, e anzi, sono un modo per tenere bassa la rabbia popolare. Se invece fossero qualcosa di più di vere provocazioni, allora vietarle non servirebbe a niente, perché bisognerebbe invece agire sulle cause che hanno portato un sacco di gente, ma veramente tanta, a scrivere dei messaggi tanto volgari e violenti. Tra l'altro, è bene ricordare che non ci sono dei parametri oggettivi e validi per tutti né per definire la volgarità né per definire la violenza. Ma anche fosse, per molti sarebbe stato facile e conveniente in fondo diventare come quelli che stanno da una certa parte: una scivolata morale da una parte, uno sbandamento etico dall'altra e denaro, fama e successo sarebbero stati a portata di mano. Ma chi non ha ceduto né a scivolate né a sbandamenti ha tutti i diritti di essere violento e volgare se questo serve a un bene superiore. Ma la verità è che qui qui ci sono due fronti contrapposti, portatori di diversi interessi che riguardano la distribuzione e l'utilizzo di risorse materiali e immateriali, che si stanno combattendo, e fin qui penso che nessuno abbia niente da ridire. Violenza e volgarità potrebbero essere nell'arsenale di entrambi i fronti, disponibili sulla base della volontà di ognuno, e fin qui tutto andrebbe ancora bene. Ma è al passo successivo che le cose non vanno più bene: uno dei fronti in lotta, avendo il controllo sull'uso e soprattutto sulla portata semantica delle parole, può decidere chi si sta comportando volta per volta in modo violento e/o volgare, comportandosi contemporaneamente da arbitro e da giocatore. Quindi costringere qualcuno alla fame o peggio togliendogli casa, lavoro e dignità sulla base di un preciso programma politico e sociale non è violento, per contro lo è dire una parolaccia al posto sbagliato e al momento sbagliato. Quindi, anche volendo dire no alla violenza, il problema rimane: che cos'è la violenza?

Secondariamente, un'altra questione si fa avanti: nel nostro mondo libero, nell’Occidente civilizzato e civilizzatore di un certo tipo di pensiero, ci sono delle cose che non si possono dire (con tutto il carico esistenziale, intellettuale e pratico che va rilevato come connesso al “dire”: Benjamin Franklin, non esattamente uno dei miei eroi, ebbe a scrivere che “ben fare è molto meglio che ben dire”; già, non mi sorprende che al Franklin sia sfuggito al fatto che il ben fare sia un correlato del ben dire, tanto per dire e per così dire). Democraticamente, sia chiaro.

Tell me something, it's still 'We the people', right?