lunedì 30 dicembre 2013

Libri Antichi. Seconda e terza parte.

II

Comunque, il viaggio fu piuttosto gradevole, per quanto Cinthia guidasse con la grinta di un mastino, e dopo circa un paio d’ore, tra autostrade, svincoli, tangenziali e strade sempre più piccole, giungemmo a una villa piuttosto isolata in mezzo alle colline. Entrammo nel cancello principale, e poi dentro il parco, che era punteggiato di macchine di lusso.
Finalmente, arrivammo davanti al comitato d’accoglienza: il padrone di casa e tre gorilla.
“Buonasera. Lei è…?”
“Io sono la duchessa Von Herring, e questo il mio associato, il professor Bianchi. Questi sono i nostri documenti e, naturalmente, i lasciapassare.”
“Ah, certo, la duchessa Von Herring. Ci siamo sentiti per mail. Sono quelli i quadri di cui mi parlava?”
“Ma certo.”
“Beh, dobbiamo comunque procedere a una perquisizione.”
“Ma certo,” ripeté con tutta calma Cinthia, o meglio, la duchessa Von Herring. Io invece, chissà perché, non ero per niente calmo, anzi, mi sembrava di star camminando su una lastra di ghiaccio sottile sopra un abisso di acque gelide.
Il gorilla #1 aprì il tubo, e dentro si vedevano chiaramente delle pergamene arrotolate dall’aria molto antica.
“Posso chiederle di tenere il tubo, duchessa?”
“Credo che la perquisizione fosse d’obbligo, però lasciarle tenere questi capolavori sarebbe un eccesso di fiducia da parte mia, spero che lei capisca.”
“Ma certo,” concesse il nostro padrone di casa, che scoprii si chiamava Vladimiro Visconti ed era lì per offrire ai suoi ospiti, tutti appartenenti alla nobiltà e all’altissima borghesia, un’asta clandestina di preziosissimi volumi antichi. Impossibile dire cosa ne sapesse Cinthia, anche se doveva avere qualcosa a che fare con il suo lavoro di bibliotecaria in una piccola biblioteca di provincia, il lavoro che lei si era scelto per copertura fra una delle sue folli missioni e l’altra. E se questa vi sembra folle, l’altra a cui avevo partecipato era stata ancora più folle. Ma del resto, non avevo ancora visto niente.
Il pomeriggio, dopo un pranzo piuttosto lussuoso, come era ovvio, a cui però io per la tensione mangiai pochissimo – mentre Cinthia invece diede prova di notevole stomaco di ferro e di altrettanta resistenza all’alcool, scolandosi con nonchalanche almeno due bottiglie di vino rosso della casa, tutte cose che comunque già sapevo – seguì la prima tranche dell’asta, dove signori elegantissimi grassi e brutti e signore elegantissime magre all’eccesso comprarono libri per somme che avrebbero potuto risanare il bilancio di uno Stato di piccola grandezza.
Verso le quattro, Visconti si alzò in piedi e disse:
“Bene, signori, l’appuntamento è stasera verso le otto per la cena, e poi, alle dieci, i pezzi forti verrano dibattuti… nel frattempo, buon pomeriggio.”

III

Qualche ora dopo ero lì, sdraiato sul letto nella camera che mi era stata assegnata, gli occhi sbarrati a fissare il soffitto chiedendomi cosa cazzo ci stavo facendo lì, quando Cinthia arrivò a bussarmi. Erano le otto e cinque.
“Ok, rise and shine, darling… tocca a noi.”
“Massì, andiamo a cena. Siamo già in ritardo.”
“No, no, non andiamo a cena. Forza, seguimi!”
Seguii Cinthia che si muoveva con passo sicuro dentro alla grande villa, fino a quando, al secondo piano, ci fermammo di fronte alla porta della libreria, giusto dietro l’angolo.
Solo che era guardata a vista da due guardie grande e grosse.
“Non avrebbero dovuto esserci, però…”
Cinthia uscì e i due si misero subito sull’attenti.
“Scusate signori, ma questa villa è così grande, mi sono persa…” e scoccò loro il suo sorriso speciale, quello famoso che la faceva sembrava una maestra elementare particolarmente dolce e simpatica. Loro abbassarono la guardia, e questo fu sufficiente perché Cinthia li mettesse fuori combattimento con due calcioni. Dopodiché mi chiamò con un cenno, si avvicinò al sistema d’allarme e senza esitazioni digitò la combinazione. Una volta dentro, ci trovammo di fronte a un tavolo di teak e a quattro colonne che sorreggevano ognuna delle teche di vetro, con dentro quattro diversi volumi.
“Beh, adesso capisci perché ti ho portato con me,” bisbigliò nel buio, “ognuna di quelle teche è collegata a un sistema d’allarme e la mia talpa all’interno non è riuscita a fornirmelo. Per cui, due persone fanno più presto di una a rompere le teche, estrarre i libri, infilarli in questa borsa e scappare.”
“Aspetta un momento, non vorrai mica…”
Cinthia non mi ascoltò nemmeno, e mi mise in mano una sbarra di ferro e dei robusti guanti da manovale. Lei aveva a sua volta l’una e gli altri. Mi fulminò con gli occhi quando vide che non mi muovevo, e io, spaventato, decisi a mettermi in posizione di lancio, per dir così.
“Bene: uno, due, e tre!”
Lei colpì con forza la teca, che si ruppe in mille pezzi, estrasse il libro e passò alla successiva, il tutto mentre l’allarme iniziò a suonare, una sirena inquietante come quella di uno Stuka in picchiata, mentre io ebbi i miei problemi a rompere la prima, che era molto più resistente del previsto. Comunque, alla fine ce la feci, e lei mi trascinò fuori dal locale.
“Ma c’è l’altra…”
“Non c’è tempo, accidenti a te!”
Con già i gorilla che accorrevano, Cinthia, e io dietro, corremmo verso la terrazza, lei arì la porta con un calcio e si avvicinò alla balaustra, dove agganciò una corda fornita di uncino. Lei volò, letteralmente volò, sopra la balaustra, scendendo poi agilmente a terra. Io cercai di ripetere il movimento, ma non ce la feci. Rimasi attaccato alla corda, senza avere il coraggio di iniziare a scendere, mentre di sopra i gorilla irrompevano nella terrazza.
“Cazzo,” sibilò Cinthia, “inizia a scendere!”
Non avevo altra scelta: chiusi gli occhi e mi lasciai andare, provando a imitare il movimento di Cinthia. Niente da fare: era molto difficile per non uno che non ne era abituato, e tra una cosa e l’altra persi la presa a metà tragitto, che comunque significava un salto di tre metri buoni, troppi per me. Comunque, invece che il brutale impatto con il terreno atterrai in modo molto più comodo: fra le braccia di Cinthia.
“Allora, vuoi muovermi o devo portarti in braccio fino alla moto?”
Scattai dietro di lei, mentre dalla villa cominciavano a sparare e dei riflettori vennero accesi.”
“Ma aspetta un attimo… che senso ha? Non riusciremo mai a uscire!”
Cinthia fece partire il motore della Suzuky al primo colpo, e partì in derapata in direzione del cancello principale, che era chiuso ovviamente. A una decina di metri dal cancello frenò bruscamente, e afferrò il famoso tubo di gomma portadisegni. Dal quale però non emersero dei quadri, ma un lanciarazzi. Senza alcuna esitazione, Cinthia aprì il fuoco, e il razzo abbattè il cancello in un’esplosione che dovette essere sentita a chilometri di distanza.
“Visto che roba! Lanciagranate di fabbricazione svedese AT4 e testata HEDP, High Explosive Dual Purpose: l’ideale per questo tipo di lavoretti!”
“Ma che fai, ti fermi anche per la spiegazione scientifica? Vai, vai!” urlai con quanto fiato avevo in gola, mentre dietro numerose macchine erano già partite al nostro inseguimento.
Cinthia buttò a terra il tubo fumante, e ripartì alla carica, senza esagerare però, in modo che potè uscire e immettersi sulla strada senza problemi. Le macchine degli inseguitori però ci tallonavano da vicino, e lo fecero fino a quando non arrivammo in vista della tangenziale, che era piena di macchine ferme. Fregandosene della fila, Cinthia sorpassò tutti, dirigendosi verso l’autostrada, ma fermandosi a un bivio per mandare un bacio ai nostri inseguitori.
“Eh, sì: concerto degli Iron Maiden. Sapevo che questo avrebbe creato un ingorgo notevole almeno dalle otto in poi… per questo la moto.”
Io scossi la testa, ma bisognava ammettere che davvero Cinthia non si ferma davanti a niente o a nessuno.

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