domenica 12 gennaio 2014

Identità metal e dintorni #2

2. 
Eppure, nonostante questo, io credo che il modello, l'idealtypen, descritto sopra regga ancora, e che se qualcuno si veste in camicia e pantaloni eleganti, tanto per dirne una, anche se poi a casa ha varie discografie di gruppi metal, non possa definirsi metallaro.  Innanzitutto, perché per essere una certa cosa ci devono essere delle regole, dei parametri che definiscono tale cosa, altrimenti, per esempio, se tutti sono metallari, allora nessuno lo è. E se tutti i parametri, non ultimo quello di una certa familiarità con quello che potremmo chiamare archetipi di forza, ci sono, allora si ritorna alla sfumatura del "ragazzo un po' rozzo" citata prima. Secondariamente, quello che ci viene in aiuto è quello che potremmo chiamare immaginario collettivo. Non so, prendete gli Iron Maiden. Il gruppo inglese ha fama di aver introdotto nei suoi topoi stilistici tutta una serie di sfumature tipicamente progressive. Ma, anche senza tener conto che i riferimenti letterari nei loro testi per la più parte sono in fondo riconducibili alla cultura pop più che non a quella del canone alto della letteratura inglese, provate a tirare fuori gli Iron Maiden e non, chessò, i Kansas in una cena di radical chic, e vedrete gli sguardi di lesa maestà negli occhi dei commensali. Inutile, gli Iron Maiden, e tutto il resto dell'heavy metal, viene considerato paccottiglia pop, alla faccia delle loro sfumature intellettualoidi. Certo, gli Iron Maiden sono un esempio un po' al limite, in effetti il metal ha in scuderia gruppi che permetterebbero in sicurezza di fare il gioco sociale del raffinato degustatore di rock d'avante garde, con i conseguenti effetti positivi a livello di immagine. Ma a questo punto, e siamo al terzo, io mi domando se proprio questo voler ricavare un'immagine di un certo tipo da un certo tipo di musica non sia già fuori dall'ideale di metallaro. Insomma, io, che come ho detto prima, non sono nemmeno un metallaro, anche se per altri motivi, se ascolto una canzone, leggo un libro di narrativa o guardo un film mi aspetto di ricavarci delle emozioni, non un ritorno di immagine. Per questo motivo preferirò sempre gli Iron Maiden ai King Crimson, i film di Stallone a quelli di Lars von Trier, certi libri a Pynchon. E guardo con sospetto quelli che mi dicono di leggerlo. Perché il sospetto è lecito: li hanno letti, è vero, ma lo hanno fatto perché a loro piacevano o perché sanno che questo conferisce loro un certo tipi di identità? Una certa aria da intellettuale? Tanto più che in fondo è facile andare a leggersi certi libri di narrativa, molto più difficile è andare a leggersi - e capire - dei saggi che stanno alla base della concettualità dei primi. E mi viene da pensare che chi legge i secondi molto probabilmente non lo faccia per darsi un tono, ma perché davvero è interessato a tali tematiche, agendo onestamente, per dir così. Ecco perché spesso c'è una totale incomprensione, che sfocia nell'aggressività, tra ascoltatori di musiche diverse fra loro. E anche all'interno dello stesso movimento metal.

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